Non è il saluto nostalgico di un periodo che non rimpiangiamo perché ci ha indotto a prendere infelici scorciatoie: volevamo diventare un paese ricco e rispettato e per questo ci siamo trovati alleati con chi questo sogno lo coltivava con folle ambizione e ci ha trascinati in un conflitto mondiale: poveri eravamo prima, ancora più poveri ci siamo trovati dopo e con tantissimi caduti per questa causa male interpretata
Oggi siamo ancora alleati con paesi potenti ma la loro ricchezza non si propaga a noi ed anzi ci relega ad un ruolo di gregari tollerati con sufficienza e sostanzialmente colonizzati dal punto di vista economico finanziario
Siamo allora un paese senza la speranza di poterci misurare con i primi della classe?
La risposta è no e ne abbiamo prove recenti, senza risalire alla grandezza dell’impero romano quando i primi eravamo davvero noi
Le prove sono quelle che molti di noi hanno vissuto in prima persona nel secondo dopoguerra e che ci ha visti protagonisti di un recupero economico industriale che ha stupito il mondo.
E allora perché oggi non abbiamo più quella spinta per recuperare lo svantaggio accumulato?
La prima risposta è la pigrizia: abbiamo considerato le conquiste acquisite un traguardo finale e non una tappa di una gara che non finisce mai: ci siamo fermati ,soddisfatti del risultato mentre i nostri concorrenti continuavano a correre e soprattutto non ci siamo accorti che altri corridori erano scesi in pista con la fame che avevamo noi una volta e della quale non abbiamo più ricordo.
Ma c’è una seconda risposta: la spinta alla rinascita non sarebbe stata possibile senza le fondamenta di motivazioni che sono state il cemento della ricostruzione: erano ideologiche e non sempre condivise ma tutte avevano l’obbiettivo di migliorare non solo il tenore di vita ma indicavano anche un modello di convivenza sociale appagante per tutti Erano religiose; anche qui non ispiravano tutti ma indicavano in ogni caso un modello sociale ispirato all’ attenzione del nostro prossimo .Erano soprattutto morali con principi e valori insegnati nelle aule scolastiche ma soprattutto praticati in famiglia, organo di trasmissione tra società ed individuo
Oggi il cemento su cui abbiamo costruito i nostri successi è crollato ed i diffusori di sane motivazioni sono in crisi di identità o spesso hanno lasciato il posto a chi ci addita principi di vita che sono la causa dei nostri mali. Quello imperante è: io, io, io, dopo di me ancora io, tutto il resto non è affar mio, ci pensi qualcun’altro
Allora perché a noi! Perché noi anziani siamo gli ultimi testimoni di una società che ha fatto della condivisione di sani principi e della solidarietà il mezzo per superare un baratro che sembrava insuperabile; con orgoglio ma senza superbia, con la fame che ci ha spinto ma che è riuscita a convivere con la dignità e la modestia di chi vedeva i migliori come modelli da emulare ma senza ricorso a scorciatoie
Ecco: a noi, depositari e testimoni di questo patrimonio che sta scomparendo l’obbligo morale di mobilitarci per un’inversione di marcia. Abbandoniamo le critiche e facciamo ancora una volta tesoro dell’insegnamento di Gandhi: “dobbiamo essere noi il cambiamento che vogliamo vedere”.
Forse crollerà qualche ponte in meno e saremo in grado di ricostruire i tanti caduti che non sono fatti di acciaio e cemento ma di un materiali altrettanto preziosi come la solidarietà, il rispetto degli altri, l’onestà e via dicendo