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C’erano una volta, tanto tempo fa, i laboratori artigiani che si chiamavano botteghe. Non erano chiusi e dalla facciata anonima, ma avevano quasi sempre la porta aperta e una bella insegna e, quando il tempo lo permetteva, c’era l’artigiano seduto fuori a “lavorar sull’uscio”. La gente che passava si fermava per una chiacchiera o anche solo a guardare le mani sapienti che andavan da sole con i più disparati attrezzi, oppure passava e via, ma un buongiorno ci scappava sempre.

Le botteghe erano in mezzo alla città, o al paese. Se ti serviva qualcosa che veniva prodotto lì bastava entrare e chiedere. Ora non son più botteghe, sono laboratori: le porte son sempre chiuse, per sicurezza o per igiene, la gente non ci pensa nemmeno di entrarci e anche solo il buongiorno è sparito…

C’erano una volta, quando le botteghe non c’erano già più o quasi, i negozi. Ogni negozio vendeva tante versioni in forme e colore diversi, della stessa cosa. Oggi li chiameremmo negozi specializzati: una volta erano la pelletteria dell’Antonella, il negozio di scarpe di’ sor Gino o lo “scarpaio”, la Torrefazione, che vendeva anche le caramelle però…

Spesso erano piccole stanze affacciate sulla strada affollate di scatole e articoli in mostra dove potevi trovare cose inaspettate. Era normale che molti articoli non fossero in mostra: non ci entrava tutto davanti. Erano tanti piccoli iceberg. La mostra faceva vedere che genere di merce vendevano, ma era il magazzino a contenere tutta la varietà. Oggi è tutto esposto e, se non è in mostra, non lo vendi di certo. Allora era tutto “dietro” e bastava entrare e chiedere. Infatti quando volevi un paio di scarpe entravi e chiedevi. Se avevi i soldi per comprarti un paio di scarpe uscivi sicuramente con qualcosa, non facevi il giro dei negozi. Gli acquisti erano una necessità, non un passatempo domenicale. Di domenica si andava a visitare i paesini o i musei o a fare un pic nic, se era una di quelle domeniche in cui si voleva uscire. Nessuno voleva rinchiudersi in un negozio, per quanto grande potesse essere…. a far cosa poi? A guardar le vetrine e a comprare…comprare….comprare che?

Una volta, ma nemmeno tanto tempo fa, conoscevi tutti i negozianti perché, quando andavi a far la spesa, una chiacchiera ci scappava sempre…. oppure, mentre aspettavi, ascoltavi le chiacchiere degli altri… era come andare al bar. Poi c’erano quei negozi speciali, che ti sapevano sempre stupire, che nascondevano piccoli universi paralleli in magazzino: veri e propri empori, spesso si chiamavano merceria, mesticheria o semplicemente “il negozio della Romana;ci potevi trovare dall’ago da ricamo alla palla di cannone. Se non l’avevano in magazzino te lo facevano avere, qualsiasi cosa fosse. Poche erano le cose che non vendevano e spesso la scelta era limitata solo dalla presenza di un altro negozio “amico” che vendeva certi articoli. Già “amico”.. perché invece a volte due negozianti non erano amici e allora si facevano concorrenza. Non era tanto una questione di commercio o di guadagno, quanto una faida fra famiglie… si stavano antipatici e si parlavano male dietro e la gente ci passava il tempo a riraccontare le ultime scaramucce avvenute.

I negozianti erano comunque persone che il lavoro in un qualche modo se l’erano scelto. Anche se avevano ereditato il negozio dai genitori poi, quando diventavano proprietari, se lo personalizzavano sempre per vendere qualcosa che gli piaceva, che li appassionava. I negozi erano posti dove potevi anche sapere di più oltre che comprare quello che serviva. Una volta si parlava, si parlava tanto…e il buongiorno si dava sempre quando si incrociava qualcuno per strada, sempre…anche agli sconosciuti, una volta si faceva per educazione